Si dice che il relitto perduto da tempo dell'HMS P311, uno dei primi sottomarini britannici della Seconda Guerra Mondiale a trasportare siluri umani Chariot, sia stato ritrovato da sommozzatori italiani al largo della Sardegna.
Probabilmente conteneva ancora i corpi dei 71 membri dell'equipaggio, il sottomarino di classe T si trovava a più di 100 metri d'acqua vicino all'isola di Tavolara, al largo della costa nord-orientale della Sardegna.
L'immersione è stata effettuata due volte dal relitto genovese Massimo Domenico Bondone, coadiuvato dai sommozzatori del locale club subacqueo Orso di Poltu Quatu.
Commissionato nel marzo 1942, il P311 fu designato HMS Tutankhamen ma andò perduto prima che potesse essere formalmente nominato. Come parte della 10a flottiglia di sottomarini al comando del comandante Richard Cayley, lasciò Malta il 28 dicembre per la sua prima missione, incaricata dell'impegnativo compito di affondare gli incrociatori italiani Trieste e Gorizia all'ancora al largo dell'isola sarda della Maddalena.
Altri due sottomarini di classe T partirono contemporaneamente come parte dell'Operazione Principio, tutti trasportando Carri. Questi sommergibili nani pilotati, che potevano essere utilizzati per piazzare esplosivi sugli scafi degli obiettivi italiani, erano stati ispirati dal successo dei commando navali italiani che utilizzavano tali veicoli.
Il P311 non è mai arrivato a La Maddalena. L'ultimo segnale ricevuto dal sottomarino risale al 31 dicembre e si pensava avesse colpito una mina italiana nel Golfo di Olbia. Si diceva che i pescatori avessero sentito un'esplosione, ma poiché era stata una notte tempestosa le notizie erano inconcludenti.
I primi tentativi di Bondone di immergersi nel luogo del relitto furono ostacolati dal maltempo, ma la squadra riuscì finalmente a raggiungere il sottomarino il 22 maggio. È stato riferito che era intatto a parte la prua, che mostrava danni da esplosione, e una pistola era visibile davanti alla torre di comando. I due carri erano ancora attaccati allo scafo.
Bondone ha detto La Nuova Sardegna che dal momento in cui ha visto la sagoma del sottomarino da 80 metri di profondità “pensi al destino di coloro che sono morti laggiù, un destino condiviso da tante persone di diverse nazioni, sommergibilisti in particolare”.
“I compartimenti potrebbero essere stati ancora ermetici quindi l’equipaggio sarebbe soffocato. Dobbiamo avere il massimo rispetto per questi relitti, soprattutto in questo caso. La vita in un sottomarino era molto difficile, con spazi ristretti, pessime condizioni di vita e la paura costante di essere colpiti da un siluro o da una carica di profondità”.
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